Nell’America degli anni Venti Bruce Dudley lascia la moglie e il mestiere di giornalista per cercare un’identità più vera. Si mette in viaggio, discendendo il Mississippi come un moderno Huckleberry Finn, per poi raggiungere la cittadina di Old Harbor, nella valle del fiume Ohio, dove da bambino aveva vissuto con la famiglia. Lì trova lavoro come operaio in una fabbrica di ruote. Sembra che quell’inquietudine esistenziale che lo accompagna abbia lasciato spazio a una ferma serenità, ma l’incontro con una donna lo costringe a rimettere tutto in discussione.
Scritto con il fresco e vibrante stile dei modernisti europei, Riso nero di Sherwood Anderson è un romanzo del 1925 sulla ricerca della libertà individuale, sul rapporto fra bianchi e neri, sulla critica alle castranti convenzioni sociali – temi già percorsi da Anderson nelle raccolte di racconti per cui è maggiormente celebre – e, in ultima analisi, sulla perdita dell’innocenza, mito caro ai più grandi romanzieri americani. Cliquot lo ripropone in una nuova traduzione dopo quella di Cesare Pavese del 1932.
Traduzione di Marina Pirulli.
Prefazione di Stefano Gallerani.
Illustrazione di copertina di Riccardo Fabiani.