«È vero che volevi costruire un ponte nel deserto? Ma allora è un ponte che va dal niente al niente. Che cosa vuol dire, a che serve?»
Eppure per l’ingegner Roberto Berla, detto Bobi, questa avventura nelle aride distese del Messico per il progetto grandioso e utopico – e destinato dunque per sua natura a rimanere soltanto sulle carte timbrate e le planimetrie – un senso profondo ce l’ha. È solo il mondo fuori, che non ha accesso al cuore labirintico e al pensiero lucidamente alienato di Bobi, a non poterlo afferrare, a poterne cogliere, senza possibilità di scampo, solo l’ingranaggio superficiale e vano che condurrà il protagonista, vittima di un’elaborata beffa, in un’aula di tribunale, sotto il peso di un’accusa gravissima.
Pubblicato nel 1978, e uscito – beffa ancor più penosa e sconcertante, proprio perché crudamente reale – pochi giorni dopo la prematura scomparsa dell’autrice, Il ponte nel deserto è un romanzo in cui compaiono, decisi, i temi tanto cari a Brianna Carafa: la difficoltà della ricerca del proprio posto nel mondo, l’impossibilità di tracciare un confine chiaro fra normalità e pazzia, fra causa ed effetto, fra innocenza e colpa e, soprattutto, la bellezza della propria umanità interiore, la strabiliante potenza di quei sottili moti d’animo mai rivelati a nessuno, di quegli slanci e quelle insensatezze intime capaci, nonostante l’apparente vacuità, di cambiare per sempre un’esistenza.
Prefazione di Ilaria Gaspari.
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