La Spagna si è da poco lasciata alle spalle la rovinosa Guerra civile quando la diciottenne Andrea, senza più genitori, giunge a Barcellona per frequentare l’università. La casa in calle de Aribau dove viene accolta dai parenti non è più, però, il luogo fatato dell’infanzia: la ricchezza e la bellezza di un tempo sono ora sommerse da un cumulo di polvere, ragnatele e sporcizia; una tetra esteriorità che, di fatto, è solo lo specchio delle profonde ferite – lasciate dalla guerra e dall’indigenza – dei cuori di chi abita lì dentro.
Un intero anno rimarrà Andrea in quella casa. Abbastanza per assistere ai drammi interiori dei suoi tre zii e della nonna, ciascuno a modo suo smarrito nel proprio mal di vivere, ma anche abbastanza per coltivare, fuori dalle quattro mura, un’amicizia vera e profonda con Ena, compagna di università in grado di sottrarla al cupo convincimento che nulla può essere davvero compreso e salvato, e che ogni esperienza umana, alla fin fine, si può riassumere in una sola parola: nada, niente.
Uscito per la prima volta nel 1945 quando l’autrice aveva appena ventitré anni, per la prosa delicata e l’eccezionale forza introspettiva (Azorín, fra i tanti, sottolineò le «complessità psicologiche» del romanzo «che ci fanno pensare e sentire») è considerato uno dei più importanti romanzi spagnoli del Novecento.
Prefazione di Elvira Lindo.
«Chi può capire i mille fili che uniscono le anime degli uomini e la portata delle loro parole?»
Traduzione di Barbara Bertoni.